Archivio di febbraio 2009

Omini su linee bianche.

lunedì 23 febbraio 2009

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In una famosa scuola di scrittura per spiegarti che cosa è un racconto ti dicono: immagina un omino su una linea bianca. La linea bianca è la sua vita, i suoi affetti, il suo lavoro o la sua scuola, i suoi interessi, la sua casa. Quello che mangia a colazione e i suoi vestiti preferiti.
Lui cammina tranquillo, dritto sulla sua strada. Poi all’improvviso succede qualcosa che lo butta fuori dalla linea. Lo prende e lo scaraventa su un albero. E magari l’albero inizia pure ad agitarsi spingendo il nostro povero omino di qua e di là.
Ecco quello è un racconto.
Se l’omino avesse continuato a camminare dritto sulla sua linea non ci sarebbe stato niente.
Questo per dire che quando qualcuno o qualcosa ci scaraventa sull’albero, mentre guardiamo da lassù la nostra linea bianca, sotto di noi e ci lamentiamo del vento che scuote i rami, potremmo pensare che forse non è il posto migliore del mondo ma, mal che vada avremo una storia da raccontare.

Come un’America

lunedì 16 febbraio 2009

mysterious-woman-helen-hajjar.jpg

Di tutti i quadri che ho,
di tutti i quadri sei tu
la più enigmatica,
nudo di donna si, ma…
nudo di donna pero’
molto romantica,
impressionistica un po’
il rosso il giallo ed il blu
che sanno d’Africa
e vorrei
averti dipinta io
ma non cosi’,
a mano libera;
e vorrei
averti inventata io si,
pero’ non cosi’,
colori e musica.
Di tutti i sogni che ho,
dei mei miraggi sei tu
la piu improbabile,
isola persa nel blu
e riscoperta pero’
irraggiungibile
deserto barbaro che
sembra vicino e non c’ é
palmizi e nuvole;
e vorrei
averti trovata io
pero’ non cosi’
come un’ america,
e vorrei
averti scoperta io si,
pero non cosi’
come l’America

Daphne (seconda parte)

martedì 10 febbraio 2009

desert_rain_72.jpg Chi ha un briciolo di bontà trova bontà ovunque…
Chi sa cosa vuol dire, pensa Noa mentre si accorge che il benzinaio è ormai chiuso. Per fortuna ci sono due ragazzi rimasti a fare i conti che le fanno il pieno lo stesso e le offrono un caffè caldo. Poi le dicono anche che non è l’unica ad essere finita lì in una notte come quella.
Ecco. Indovinate chi c’è, buttato sul pavimento, avvolto in una coperta di lana macchiata,  semi-addormentato…
Noa sveglia il ragazzo. Lui è intontito per la febbre e taciturno ma non sembra sorpreso di vederla. La guarda come se fosse la cosa più normale del mondo, come se fosse stato evidente che lei sarebbe venuta a raccoglierlo.
Lui si trascina alla macchina, ancora bagnato, con il suo zaino “all you need is love” e si addormenta dopo pochi minuti.
Il piano di Noa è andare al magistero, svegliare un medico e la mattina mettersi al telefono per vedere di trovare questa Daphne, ma la pioggia oscura la vista, sbaglia strada e si perde. Per di più, il motore della macchina si spegne dopo poco. Lei fa in tempo ad accostare in una specie di parcheggio e si addormenta.
Come andrà a finire questa storia, uno comincia a chiedersi.
E poi pensa che forse c’è un solo modo possibile, e un’unica soluzione perché quella frase continui a girare all’interno del romanzo: nessuno deve spiegarla.
E infatti nessuno lo farà.
All’alba Noa si sveglia e si accorge che il suo passeggero è sparito. Non ha rubato niente eh… semplicemente è scomparso.
Passa una volante della polizia che aiuta Noa a far ripartire la macchina e lei torna a casa con la febbre alta ma la prima cosa che chiede al marito è di provare a rintracciare, tramite le sue conoscenze, una certa Daphne e un ragazzo irlandese atterrato il giorno prima. Poi crolla sul letto, sfinita.
Ovviamente del suo passeggero non si saprà più nulla.

Ecco, ieri sera mentre tornavo in treno da Roma guardavo fuori dal finestrino e proprio come i personaggi del libro pensavo a quel ragazzo che vaga per la Galilea alla ricerca della sua Daphne o magari ha abbandonato l’impresa e si è fermato a fare il falegname da qualche parte e in questo momento si riposa,  con la testa appoggiata sullo zaino e i suoi capelli lunghi che gli incorniciano il viso nella luce della sera.
Se si ha un briciolo di bontà si trova bontà ovunque.

Daphne (prima parte)

lunedì 9 febbraio 2009

fioredeserto.jpg “Non dire notte” è un libro dello scrittore israeliano Amos Oz. Forse lo conoscerete, forse no.
C’è una città piccola e tranquilla nel deserto del Negev e c’è una coppia, lui un architetto di 60 anni e lei una professoressa di lettere di 45 con un progetto che alla fine del libro non si capisce ancora se vedrà mai la luce. Dal punto di vista della storia non succede granché e quel poco non ve lo sto a raccontare, magari vi va di leggere il libro. Le giornate per loro si concludono quasi sempre sul balcone di casa, a guardare il deserto e la luce che se ne va. Se le città nel deserto hanno un sapore, ecco allora questo libro ha quel sapore lì. Di sabbia e di soli che si vanno a spegnere all’orizzonte.
All’interno del racconto però ci sono un paio di sotto-storie. Una di queste dura poche pagine e non si capisce bene cosa ci sta a fare lì dentro, non lo capiscono nemmeno i personaggi che poi continuano a ripensarci, un po’ come noi. A viverla è lei, Noa, anche se a raccontarla è il marito Theo (i punti di vista si alternano nel libro).
La storia è più o meno questa.
Andando ad un corso di aggiornamento, Noa carica un giovane turista irlandese. E’ novembre e piove. Lui ha i capelli lunghi, un enorme zaino sulle spalle con sopra scritto “All you need is love” ed è completamente fradicio. Racconta che ha attraversato l’Irlanda in autostop sotto la pioggia per arrivare a Dublino. Da lì ha volato fino a Birmingham e da Birmingham è arrivato in Israele. Tutto senza mai dormire.
E che ci fa lì?
Sta andando a cercare una ragazza chiamata Daphne, di Liverpool, con la quale ha passato una notte, un po’ di tempo prima, e di cui sa soltanto che è andata in Galilea. Adesso è intenzionato ad andare di kibbutz in kibbutz finché non la ritroverà. Il tempo non gli manca, dice, se gli mancheranno i soldi si troverà un lavoretto. Sa fare un po’ di tutto.
C’è già da dargli del matto. Come si fa a pensare di andare a cercare una ragazza per tutta la Galilea. Mica è uno sputo.
Ma poi, per concludere, dice anche una frase che Noa non sa bene come interpretare e che poi ritornerà più avanti nel romanzo.
Dice: Se si ha un briciolo di bontà si trova bontà ovunque.
Noa lo guarda e gli sembra che abbia la febbre, poi arriva a destinazione e lo fa scendere all’ingresso della città. E’ appena entrata al corso quando decide di tornare indietro. Pensa che deve portare quel ragazzo febbricitante da un dottore, sale in macchina e torna all’ingresso della città, ma non lo trova più.
Allora si avventura per strade sconosciute, alla sua ricerca ma finisce la benzina e si infila in una stazione di servizio.

(fine prima parte)