Let’s dance

Perché prendo tutto sempre troppo sul serio? Anche quando mi dovrei semplicemente divertire?
M. sorride. E’ venerdì sera e, insieme a F e tutti gli altri, mi ha trascinato in un posto sperduto fuori Milano. Lì c’è musica latina “vera”, così dicono, non quella schifezza commerciale che si sente in giro, musica portoricana “dura”. Ora, definire “dura” quel tipo di musica mi da di che pensare. Comunque un po’ per curiosità, un po’ perché devo assolutamente uscire, mi faccio convincere.
In parte sembra di andare ad un uno di quei party nei capannoni, una specie di rave latino, e in parte sembra di entrare nel film di Dirty Dancing. Dentro è uno spettacolo di danza, con tutti quei corpi che girano a velocità incredibili, si attorcigliano e si sciolgono, muovono il bacino come se fosse camminare.
Proprio l’atmosfera giusta per sentirsi rilassati e ballare un po’…
I miei anni di danza sembrano ridursi nei miei ricordi. Eppure ho fatto più o meno di tutto: classico, contemporaneo, modern, jazz… Adesso mi viene in mente solo quella fastidiosa sensazione di quando entri negli spogliatoi, magari stai per fare uno stage quindi non conosci nessuno, e tutti ti scrutano fin dal primo istante per capire quanto sei brava. Un’occhiatina ai tuoi piedi e poi appena inizi a a scaldarti, l’occhio scivola sulle tue gambe, quanto arrivano in alto, quanto si piegano, quanto si contorcono dietro ai tuoi comandi.
Odioso.
E io mi sento così. Con l’aggravante che io di questa roba qui sapro’ fare si e no due o tre cose. Certo, siamo qui per divertirci e allora perché quando F. mi invita a ballare sento il mio corpo rigido che lo segue senza dire niente. Prendo razionalmente il punto per fare i giri, conto la musica nella testa per il terrore di andare a fuori tempo, tiro ogni singolo muscolo per evitare di scivolare su questo pavimento su cui sembra che si possa pattinare. Dall’esterno magari è anche carino da vedere ma ovviamente non mi diverto per niente.
Qui è tutta questione di flessibilità e morbidezza. Ritrovo M, tranquillamente seduto in mezzo ad altri e leggo il terrore su un altro paio di facce. Mi dirigo verso il bar e ritorno con un super cocktail dove non so nemmeno cosa ci hanno messo dentro. M. mi guarda e si mette a ridere. Si ricorda di avermi riaccompagnato a casa completamente addormentata, un po’ di tempo fa. E V. ride con lui. Anche lei forse si ricorda. Uno solo, tranquilli.
Fisso il mio bicchiere. Volete che mi ributti lì in mezzo? Certo.
Datemi solo dieci minuti.
C’è un sacco di gente con noi stasera, qualcuno si limita a chiacchierare, i piu’ incoscienti se ne fregano e si buttano. E poi c’è chi è un po’ indeciso e quindi ballicchia vicino al tavolo.
M. mi fa: andiamo?
Assolutamente sì. Mica mi fanno paura questi (certo che mi fanno paura, ma adesso è tutto un po’ più semplice). Stavolta finalmente mi accorgo che sto ballando con qualcuno, che guardandolo negli occhi posso anche sorridere invece di pensare che sto per girare come una trottola e che quei giri dovranno essere perfetti.
Forse riesco anche a divertirmi.

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