Archivio di marzo 2008

Cronaca di un week end ovvero storie di momenti sbagliati - parte 1

domenica 30 marzo 2008

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Ditemi che cosa hanno in comune le seguenti cose:
- un tassista rock
- un concerto degli editors
- una festa gay
- un metallaro che scatta foto a raffica
- una serata al rock’n’roll che suona come una festa di addio
Ben poco, provate voi a costruirci una storia. Eppure.
Il mio week end comincia in taxi, venerdì sera, in direzione Alcatraz. Il tassista comincia a chiacchierare, mi domanda chi sono questi Editors che sto andando a vedere e ogni tanto dà un’occhiata alla sua autoradio che sembra un po’ soffrire, tenuta al minimo per non dare fastidio.
Finiamo a parlare di musica. Si stupisce quando sembro reagire ai nomi che mi snocciola, gente come ozzy osbourne, motley crue, slayer. Non è il mio genere e glielo dico, ma il semplice fatto di conoscere quei nomi mi porta nelle sue grazie.
Si illumina, prende dei cd, mi fa ascoltare dei pezzi e tutto contento si incanala nella fila di macchine che ingorgano via valtellina. Ti è capitato un rocchettaro, mi dice alla fine, prima di farmi scendere e poi mi fa addirittura lo sconto. Con la coda dell’occhio, mentre chiudo la portiera lo vedo risistemare i cd mentre abbassa la musica, rimette da parte i suoi sogni di air guitar e si prepare ad una nuova corsa.
L’Alcatraz, sold out, è assediato dai fan degli Editors che aspettano di entrare, raccolti in due lunghissime file. Indie-rockers fasciati da jeans rovina circolazione (come direbbe a.), t-shirt comprata in pounds, giacca vintage che andrebbe bene se fosse davvero primavera (ma facciamo finta, al limite ci andrà via la voce). Spostandosi davanti alla cassa accrediti invece sembra di essere ad una festa tra amici. Tutti conoscono tutti. E comincia il rito dei saluti, mentre dall’interno arriva la musica dei Mobius Band, i tre ragazzi di Brooklyn che hanno il compito di aprire la serata. TJ arriva, entriamo al volo e finalmente ci lasciamo alle spalle una settimana di lavoro.
Strana apertura quella degli Editors, ma molto di atmosfera, con Tom Smith al piano sulla bellissima “Camera”. E poi via con An End Has A Start, title-track del secondo album che fa cantare tutti, a parte quelli impegnati a baciarsi. E intorno a noi sono parecchi. Da dove esce tutto questo romanticismo? Mi vengono in mente due cose. La prima è che se non ci avesse già pensato C. con il MiAmi ci sarebbe davvero da inventarlo: un festival di musica e di baci. La seconda è che, ripensandoci, non ho mai baciato nessuno ad un concerto. Era sempre il momento sbagliato.
Aspetto per un’ora il mio pezzo preferito e, dopo le varie canzoni del bis, sono già rassegnata quando sui saluti parte Smokers Outside The Hospital Doors.
Se c’è una canzone che vale un concerto, per me è proprio questa.
Siamo in ritardo per la festa. Ah già ma tanto si deve sempre arrivare in ritardo no? Comunque secondo me, vestita così nemmeno mi fanno entrare. TJ, mi serviva un vestito sciocco. E cos’è un vestito sciocco? Boh, il mio ti pare abbastanza sciocco? Non lo so, ma nella Milano dei loft e degli open bar ormai la festa la fa il dress code. Cerchiamo un taxi, vah.
In questi momenti rimpiango NY. Quando esci per strada, alzi una mano e sei a posto.
Stavolta qualcuno mi legge nella mente perché lasciata la via bloccata dell’alcatraz, dopo pochi metri, ci imbattiamo in un taxi vuoto, fermo ad un semaforo. Ci precipitiamo. E si parte. Direzione festa sciocca di primavera.

TO BE CONTINUED…

Sapore di hot dog.

giovedì 20 marzo 2008

Le serate per addetti ai lavori mi lasciano sempre in bocca un po’ di sapore di plastica.
Finiscono per essere una grande immensa piazza per le pubbliche relazioni, anche se la musica, davvero, è lì sul palco. Come lo era quella degli REM. (Se avete un pass di mtv ricordatevi di pronunciarli all’inglese o farete la figura dei provinciali, non vi preoccupate se sapete a malapena chi è Michael Stipe, il braccialetto al polso vi aprirà l’area vip dove potrete dimenticarvi anche quelle poche cose).
Dicevamo, quindi. Gli “ar-i-em”. Presentano il loro nuovo album Accelerate al Rolling Stone di Milano. Serata a inviti. E quindi pubblico di discografici, artisti, giornalisti. Che non sono proprio il massimo del calore, anche se sembrano scrollarsi di dosso il torpore grazie a qualche storico successo. Del resto, se Losing My Religion non vi risveglia nemmeno un ricordo, forse, dovreste chiedervi in quale igloo siete rimasti chiusi.
Al mio fianco c’è compare TJ, come sempre. Ma senza l’entusiasmo che conosco.
Siamo contente di essere qui e curiose di ascoltare il nuovo album, Stipe è in grande forma, fa dell’ironia sui tempi delle riprese televisive che gli permettono di riaggiustarsi i pantaloni (si è dimenticato la cintura, dice, e rischia di rimanere in mutande) ma noi ci guardiamo intorno alla ricerca di qualcosa ed ecco, quel sapore un po’ di plastica. Gente che continua a salutare gente. I sospiri e le urla dei ragazzi del fan club (a cui per fortuna sono stati riservati dei posti) accanto ai pensieri di chi fa programmi per la cena.
Noi rimaniamo lì, nelle retrovie, fino alla fine del concerto. Poi lentamente ci avviamo fuori. TJ si ferma a fumare insieme a S., io vado alla ricerca di G. che dovrebbe essere qui da qualche parte.
La trovo, e con lei anche a. (che è finalmente riuscito a comprarsi un paio di scarpe… siamo tutti con lui) e gli altri. Mentre parlo con loro, mi sembra quasi che il concerto inizi adesso, mentre il sapore di plastica piano piano scompare. Quello che arriva al suo posto non lo so cos’è. Sapore di hot dog, forse, o del fantastico mix di intrugli del piadinaro qua di fianco. Non c’è paragone.
TJ, sorridi, ti offro una crepe alla nutella.

Ti ho amato sempre, non ti ho amato mai.

martedì 18 marzo 2008

Le storie d’amore si assomigliano tutte.
C’è sempre qualcuno che ad un certo punto se ne va.
Può succedere dopo mesi, anni oppure dopo tre minuti, giusto il tempo di una canzone.
E c’è sempre qualcuno che si chiede quando, chi sta fuggendo, ritornerà. Perché un giorno qualunque, in cui tu avrai dimenticato, lei ricorderà.

P. canticchia: Fabrizio De André- Amore che vieni, amore che vai

Appunti di ballo: probabilità.

giovedì 13 marzo 2008

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1. I jeans lunghi fin sotto i piedi, ormai sfilacciati dopo aver strusciato ogni angolo di pavimento nonché di strada, non sono proprio l’ideale per ballare: il tacco potrebbe rimanere attorcigliato e proprio quando pensate che non accadrà mai, molto probabilmente accadrà

2. Se quando il ballerino con cui vorreste ballare vi passa vicino voi, un po’ imbarazzate, guardate da un’altra parte le probabilità che vi arrivi un invito diminuiranno drasticamente (per lo meno approfittate dello sguardo basso, su un non identificato punto posto a metà dei piedi, per strappare, annodare o comunque rendere innocui i fili di cui sopra)

3. Se siete indecisi su dove spostare il peso e avete un millisecondo per deciderlo per lo meno tirate a caso: avete il 50% di probabilità di sbagliare. Ma se continuate, indecisi, a tenerlo a metà, la probabilità di errore sale al 100%.

Musica: CARLOS GARDEL - (SCENT OF A WOMAN) TRUE LIES (… dritto negli occhi, giuro, la prossima volta dritto negli occhi).

Happy End

martedì 11 marzo 2008

Ci sono giornate da finire il prima possibile perché cominciano a fatica, proseguono a tentoni e la sera hai pure una riunione di condominio.
Sarebbero da accortocciare e buttare nel cestino, rimettendosi davanti un bel foglio bianco. E mentre aspetti che sia la notte a farlo, arricciando naturalmente gli angoli della mattina, piegando le ore ormai passate del pomeriggio e appallottolando tutti gli sgradevoli imprevisti, ti chiedi che cos’è che davvero non andava.
Non è stata una giornata disastrosa, è stata una giornata imprecisa.
E affannata nella sua imprecisione.
Disguidi che mischiano incomprensibilmente confusione e pignoleria, anticipi e ritardi. E un finale che doveva essere diverso. Ma i finali buoni se li son già presi tutti e tu sei appena uscita da un’assemblea per decidere il tipo di pavimento del cortile e la pulizia dei vetri delle scale, mentre i MGMT suonano al Rocket e un sacco di altre cose succedono là fuori.
Sì, i finali buoni scarseggiano. E forse stasera non hai nemmeno la forza di inventarteli.

Musica (visto che li ho nominati) MGMT – Time To Pretend

Il Circo Zen.

martedì 4 marzo 2008

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Un po’ di tempo fa la mia amica Ze mi dice: belli i riferimenti musicali nel blog, anche se non conosco quasi nessuno. Dovresti segnalare un gruppo al mese, così io poi me lo vado a guardare.
Beh, la musica in questo blog rimane per lo più un sottofondo, magari accurato, scelto, a volte giustificato (molte altre no) ma non diventa quasi mai direttamente un soggetto. Certo poi, leggendo, si inciampa in frammenti del mondo che intorno alla musica ruota e in cui spesso mi trovo immersa, ma insomma, per intenderci, le recensioni, le scoperte e le segnalazioni le trovate da altre parti.
Detto questo, adesso quasi mi contraddico e vi parlo di un gruppo e di un album. Perché dentro, al di là del valore artistico della band in questione e del loro lavoro, per me ci stanno almeno tre cose.
Ci sta la bellezza del ritrovarsi a casa ogni tanto e ci stanno certi bizzarri meccanismi del mondo musicale e della comunicazione. E poi ci sta anche la sensazione che a volte la vita giri al contrario e possa essere magnifico.
Agli Zen Circus noi di YN siamo particolarmente affezionati, sono stati i primi a suonare nel nostro studio quando ancora era una grande scatola bianca che la musica provava solo a raccontarla.
Io ci ho aggiunto il fatto che Appino, Ufo e Karim (non chiedetemi niente dei loro nomi) sono delle mie parti e accostano al loro accento rassicurante il ricordo di posti familiari, a due passi da quella che istintivamente, da qua, continuo a chiamare casa.
Villa Inferno” è un album in cui l’estro dell’ ispirazione si unisce al controllo della rielaborazione, la profonda italianità a un respiro internazionale che lo fa volare via. Lontano, speriamo tutti. Ci sono canzoni che ti entrano in testa dalla prima volta, che sembrano senza mezze misure e invece hanno tutte e sole le parole che servono (Figlio di Puttana). C’è la passata vita da busker con i piedi sporchi e una meta da decidere (Dirty Feet). Ci sono le voci di Kim Deal dei Pixies e sorella (Punk Lullaby) e le tastiere di Jerry Harrison dei Talking Heads (proprio nella cover di Wild Wild Life). E poi, in questo album c’è lui: Brian Ritchie, il bassista dei Violent Femmes (si quelli di Gone Daddy Gone che no non è dei Gnarls Barkley quelli del video con gli scarafaggi). Brian Ritchie non solo collabora e produce il disco ma diventa il vero e proprio quarto uomo della band. Un pezzetto di storia della musica che si aggiunge a tre rocker pisani, da anni nel sottobosco dell’indie.
Chissà quanto se ne parlerà, uno pensa. E invece se ne è parlato poco. I soliti meccanismi a metà tra musica-stampa-comunicazione.
Eppure era una storia di quelle da fare a gara a raccontare. E qui arriva quella roba lì, della vita che ogni tanto ti sorprende e inverte il giro. Che è anche l’inizio della storia e la parte che preferisco.
Un po’ di tempo fa, Brian Ritchie va da questi tre ragazzi, gruppo di apertura di un concerto dei Violent Femmes. Ha un loro disco (capitato nelle sue mani grazie a dei fan piuttosto intraprendenti). “Voi siete gli Zen Circus? Ho il vostro disco, siete davvero bravi. Avete dei progetti? Vorrei lavorare con voi”.
Tutto al contrario di come uno si aspetterebbe. Grandiosamente al contrario.
Ecco qua.
Nostalgia, comunicazione e soprese.
E adesso, per la Ze, forse, anche un po’ di curiosità.

Musica- THE ZEN CIRCUS & BRIAN RITCHIE- VILLA INFERNO.