Archivio di gennaio 2009

Alberi, segreti e fango.

sabato 31 gennaio 2009

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“In tempi antichi, se qualcuno aveva un segreto non lo condivideva con nessuno… e sai come facevano?”.

“Non ho idea”.

“Andavano su una montagna, trovavano un albero, scavavano un buco nella sua corteccia e bisbigliavano il segreto al suo interno. Poi, lo ricoprivano col fango . E lasciavano il segreto lì per sempre”.

Musica che si aggira nella testa (inevitabilmente): Yumeji’s Theme

Rincorse (parte 2)

martedì 20 gennaio 2009

Allora. Siamo rimasti che nonostante i calci dati alla neve ghiacciata la macchina è ancora incastrata. Che cosa fa uno quando non sa come uscire da una situazione? La prima cosa è temporeggiare, sperando che qualcosa, nel frattempo, cambi. Questo a volte funziona con le persone, sembra… oddio io non l’ho mai pensato, per me è quasi sempre tutto dannatamente bianco o nero, nonché immutabile, però il mio amico J. dice c’è anche il grigio, anzi, che tanta parte è proprio quel grigio lì e allora io ci credo. Qui comunque è dura e se rimango ancora un po’ al freddo, dopo il febbrone di questi giorni è la fine.
La seconda cosa è guardarsi intorno. Ecco, questo lo posso fare. E infatti lo faccio. Vedo poca gente che scivola via cercando in tutti i modi di arrivare in un posto dove probabilmente non è mai voluta andare, qualche mamma nervosa corredata da bambino sovraeccitato, un anziano che azzarda un passo sulla neve, timoroso, come un animaletto che bagna la zampa in un ruscello prima di convincersi ad attraversarlo.
Poi vedo un signore sulla sessantina, non tanto lontano che cammina verso di me. Lo vedo arrivare e penso: ecco, lui ha la faccio di uno che potrebbe aiutarmi. Tranquillo, cammina deciso ma senza fretta. Spero che si fermi. Ho il tempo di pensarlo. Deve farlo. Sto guardando uno sconosciuto che in qualche modo mi dirà che è tutto a posto e che adesso non ho più la febbre e che ci vuole solo un po’ di fiducia.
Perché è mattina e sono stanca.
Perché sono stata tre giorni isolata dal mondo e sarei rimasta così.
Perché non voglio che arrivi questo week end.
Adesso sono scesa. Sbaglio un mare di cose, ma forse queste no.
Il signore arriva. E si ferma.

Il resto ha poca importanza. Serie di manovre, spinte, ruote che girano.
Conta l’ultima frase però, un po’ perché da sempre amo i finali e un po’ perché nella sua semplicità c’è tutto quello che spesso non riesco a fare. Perché mi perdo in una serie di particolari ininfluenti: dettagli, orrendi o meravigliosi, ma per lo più semplicemente inutili.
Il signore mi dice: adesso ce la fai, prendi la rincorsa e vai.
Io risalgo in macchina, metto in moto, frizione acceleratore… sento che la macchina va. Ancora un po’ incredula e contenta, mi giro e faccio per ringraziarlo, quando lui mi fa un gesto e ripete: non ti fermare, prendi la rincorsa e vai.
E io sono andata.

Rincorse (parte 1)

giovedì 15 gennaio 2009

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E’ venerdì mattina. Il mal di gola non se ne vuole andare ma la febbre è scesa e quindi è arrivato il momento di avventurarsi là fuori.
E’ come se da lunedì notte avessi vissuto un unico lungo giorno in cui i racconti dei libri si mescolano ai sogni che, disturbati dalla febbre si agitano per poi placarsi, come i bambini, con il silenzio della neve che continua a cadere al di là della finestra. E incanta.
E’ venerdì mattina, dicevamo e io decido che ce la posso fare, mi trasformo in un piccolo fagotto di lana e chiamo mio fratello.
Perché quando c’è un problema pratico, posso essere a Parigi, a Londra o a New York, ma lo chiamo. E non dico tanto per dire. Lo chiamo.
Problema: la macchina sarà sepolta dalla neve ormai ghiacciata. Partirà, non partirà, che faccio se non si apre nemmeno lo sportello…
Soluzione: chiamare il fratellone.
Infatti mi tranquillizzo. Anche se, pensandoci poi, probabilmente non sarei mai riuscita a fare nessuna delle cose che mi ha detto. Ma alla fine è quello il compito dei fratelli maggiori. Farti sentire che, anche se non capisci un tubo, ce la puoi fare lo stesso.
Scendo.
Lo sportello della macchina si apre ma il problema è che c’è un mare di neve ghiacciata accumulata intorno alle ruote, come se qualcuno le avesse volute incorniciare.
Che bel pensiero.
Con cosa la tolgo che non ho niente?
E allora faccio la cosa più divertente che mi sia mai capitata di fare una mattina qualunque andando al lavoro.
La prendo a calci.
Prendo a calci la neve ghiacciata.
Ed è fantastico. Funziona, per di più.
A volte è un po’ più faticoso, ma… è bellissimo.
Dovremmo farlo più spesso. Mettere da parte un po’ di neve, non proprio fresca, altrimenti fa poca resistenza e poi prenderla a calci. Ecco ci dovrebbero essere sempre dei posti dove tu vai e prendi a calci la neve. Perché non è come tirare pugni a un sacco in una palestra: il sacco rimane lì, ma la neve si disintegra. I pezzi di ghiaccio li distruggi e dopo non ci sono più.
Li distruggi e poi non ci sono più.

(fine prima parte)

Bianco e nero.

giovedì 8 gennaio 2009

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Gill entra in camera con la sua solita aria allegra.
- Allora malatina ci guardiamo un film?
- Scandito dai colpi di tosse? Perché no…
- Guarda, ne ho portati un po’…
Gill tira fuori una decina di dvd che pesca in ordine sparso dalla borsa, un gran casino di titoli masterizzati quasi a caso, dai film d’autore agli evidenti blockbuster.
Do un’occhiata, ma sono troppo stanca anche per scegliere.
- Decidi tu.
Gill li mescola come se avesse davanti un mazzo di carte.
- Questo è in bianco nero, sarà un film intelligente… mmm… mi sa che l’ha detto qualcun’altro…
- Gill…
- Sì?
- A volte un film in bianco e nero è semplicemente un film senza colori.
- E’ vero. L’hai detto tu, questo?
- Beh sì.
- Bene.
Si rimette a trafficare. Poi chiede:
- Commedia hollywoodiana allora? Happy ending?
- E vissero felici e contenti.
Gill sorride soddisfatta e pesca un dvd. Lo mette dentro il lettore, senza dire niente. Poi torna verso di me. A volte c’è più onestà in un racconto semplice e senza grandi pretese che in un uno che si ostina a girare per tentare di dire qualcosa ma alla fine, banalmente, non riesce a dire niente.
- Passami un cuscino.
- Tieni.
Tossisco.
Gill mi guarda un po’ preoccupata e poi dice, con la sua solita leggerezza:
- Non morirai.
Rido.
- Lo so.
Inizia il film.

La neve e l’anello magico.

martedì 6 gennaio 2009

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La carta del pacchetto vola via in un attimo.
Sono impaziente con i regali.
Anzi, ripensandoci sono impaziente con tutto, ma con i regali in particolare.
La sorprese le brucio in un attimo.
Guardo TJ e spalanco gli occhi perché è bellissimo.
- E’ un anello- dice lei- Quando l’ho visto ho pensato subito a te. C’è un viso raffigurato sopra…
Da quando ho perso quello che mi aveva regalato mia madre non ne ho più portati, in una lotta persa in partenza contro l’affetto che riversiamo sugli oggetti. Sono le persone a cui vogliamo bene, non i pezzi di metallo, ma quando le persone non sono lì, vicino a te, cambia tutto.
Lo guardo bene e mi piace ancora di più, con quei tratti femminili appena accennati. Le sorrido.
- Non è solo un anello. E’ un anello magico. - le dico io.
- Magico?
- Sì- rispondo sicura.
- E quale sarebbe la magia?
Glielo dico, piano. Lei allora si avvicina e sfrega il dito sulla superficie dell’anello, tre volte, come le ho detto.
- Ecco.
Poi usciamo dalla macchina, con le scarpette da tango nella borsa e ci dirigiamo verso la musica… Entriamo e ordiniamo due bicchieri di vino, non balliamo da un po’ e forse ci siamo perse un po’ d’entusiasmo per strada.
Ci sono tutti. Il mio maestro passa e mi scompiglia i capelli mentre salutiamo amici e compagni di corso. Arriva E., le chiedo come va e poi finiamo a parlare dell’anello. E’ magico, le spiego io. Ah si? risponde lei e lo sfrega subito tre volte. C’è anche S. e la scena si ripete, come va e anello magico.
E’ un susseguirsi di magie. Tango e stregonerie…
Ore dopo, la neve ci aspetta all’uscita.
Molti continueranno la serata, io mi addentro in una città bianca per accompagnare TJ a casa e mentre lei scende, assonnata, dalla macchina guardo il mio anello. Non lo sanno, gli altri, che la magia sarà diversa per ognuno di loro. Perché ognuno ha negli occhi i suoi di sogni.
Buonanotte, sorellina, dormi bene.
Io rimango sveglia, forse stasera si può ballare ancora un po’ .

Colpi di pistola.

domenica 4 gennaio 2009

… Sa, è molto bella l’immagine di un proiettile in corsa : è la metafora esatta del destino. Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il destino ? Tutto è già scritto eppure niente si può leggere ...

I-tunes: Amari- 30 anni che non ci vediamo